Gianfranco Aceto la voce, Giuseppe Aceto la chitarra, Mariapia Turchiarelli la batteria. Rispettivamente Telese Terme, Frasso Telesino, Accadia (FG). Questa la carta d’identità degli Aura e Marilyn, la band sannita che ha partecipato all’ultima edizione di XFactor, ricavandone due successi. Il primo, nella fase delle selezioni: 4 sì dai giudici Achille Lauro, Jake La Furia, Paola Iezzi, Manuel Agnelli, che certificano il talento della band. Il secondo, nella fase successiva: l’eliminazione, che della band certifica l’autenticità della sua identità artistica. È di questa che gli Aura e Marilyn si sono sempre vestiti e di questa si sarebbe potuto chieder loro conto, se fossero andati avanti in un programma, XFactor, in cui ad andare avanti non sono le identità, ma le caricature: belle facce, storie commoventi, manichini tirati a lucido per far vibrare qualche adolescente.

Di musica ce n’è poca, di talento ancora meno, di arte zero. Fin qui nulla di nuovo, certo, ma fa specie che ad assumersi l’imbarazzante responsabilità di eliminare da un programma musicale ragazzi che musica la sanno fare sia stato proprio Manuel Agnelli, che ai nastri di partenza di XFactor aveva dichiarato: “Abbiamo il dovere di far passare questo messaggio: più sostanza e meno forma”. Giusto. Poi sarà successo che è cominciato il programma. E con esso sarà subentrato il dovere, per motivi di cassetta, di fare aumentare gli indici di ascolto e di gradimento.

A questo genere di doveri, è lecito che gli amanti della musica reclamino il diritto di domandare: è più importante il palco o il botteghino? Rispondono gli Aura e Marilyn: «Se anche un grande artista come Manuel Agnelli, che si è sempre fatto promotore della musica indipendente, inizia a fare scelte macchiettistiche volte al becero consenso popolare, allora che senso ha portare avanti progetti liberi da cliché mainstream Portarli avanti ha senso, non ne ha portarli a un programma che di cliché mainstream campa e fa campare il grande pubblico, il quale sia ai cliché sia al mainstream ha fatto oramai la boccatura: solo quelli ingurgita e quelli solo digerisce. È la tv fast food, costretta a fabbricare in serie prodotti di rapida e facile consumazione.

A questi garantisce il successo, condannando all’insuccesso chi non è disposto a farsi consumare: “Per noi band emergenti è esasperante vederci sempre superati da prodotti di mercato, solo perché “funzionano”. Prodotti che durano il tempo di una stagione, per poi essere dimenticati perché non hanno nessun tipo di cultura artistica. Purtroppo chi prende decisioni nel mondo televisivo non è in grado di capire che preferire la quantità mediatica alla qualità artistica dà piccoli contentini nel breve periodo, ma priva gli artisti validi di un percorso solido a lungo raggio”.

E nello stuolo di “artisti validi”, che fanno paura perché indipendenti, gli Aura e Marilyn appartengono alla torma più pericolosa: quella degli artisti che si permettono persino il lusso di credere nell’arte. Sono una band che spacca, senza rompere. E soprattutto senza fare rumore.

Il loro estro risponde alla musica, e solo a questa hanno scelto di affidare le proprie fortune. Insomma, come potevano funzionare in un programma dove la musica resuscita solo negli intervalli pubblicitari? Digerita l’eliminazione, a mollare non ci pensano minimamente: “C’è un bisogno estremo di persone che si espongano. Quanto più la nostra musica sarà osteggiata, tanto più sarà intensa la nostra risposta”. In tre superano di qualche mese i 70 anni Gianfranco, Giuseppe e Mariapia. Per sfondare hanno tempo. Potrà sembrare un obiettivo velleitario, ma a dargli credibilità valga questo gallone: i tre ragazzi due anni fa nemmeno si parlavano, oggi si commenta la loro partecipazione a XFactor. Questo dice tutto dei risultati raggiunti finora, ma dice anche tanto dei risultati che, è lecito prevedere, raggiungeranno in futuro: che un giorno si consacreranno è difficile dirlo oggi con certezza aritmetica, ma che la tempra sia quella dei ragazzi che ce la possono fare, questo è fuor di dubbio.