A lungo ritenuto, insieme con altri, cosiddetti minori o più semplicemente “stanchi epigoni della locale tradizione solimenesca o demuriana”, Pietro Bardellino recupera, grazie a Nicola Spinosa, una più corretta e giusta considerazione nella storia dell’arte meridionale. Si sa che nasce a Napoli nel 1731, per il resto poche sono le notizie sulla sua formazione e sulla sua attività giovanile. Con molta probabilità allievo di Francesco De Mura si forma nella sua bottega. La prima opera di cui si ha prontezza è il dipinto collocato nel soffitto del Salone della farmacia degli Incurabili di Napoli, raffigurante Macrome che cura un guerriero ferito, datato e firmato 1750. Fedele agli insegnamenti del maestro fino agli anni sessanta, come si evince nell’Ultima cena del 1764, conservata nella Cattedrale di Bitonto – chiarissimo richiamo al prototipo di Sacra Famiglia del De Mura – o La Vergine appare a Pio V e a Don Giovanni d’Austria, opera del 1778 dai modi solimeneschi del tempo, con uno sguardo più attento alle cose giordanesche di Giacomo Del Po, realizzata per la Chiesa San Giacomo Apostolo di Guglionesi. Di questo periodo di transizione, quando tenta di affrancarsi dai modi del maestro per ottenere “una maggiore scioltezza pittorica e raffinati effetti luministici”, sono le due tele dell’Annunziata di Guardia Sanframondi. Nel 1773, su chiamata di Luigi Vanvitelli, qualche mese prima della sua morte, diventa membro dell’Accademia di Belle Arti in qualità di assistente senza stipendio e solo nel 1779 viene nominato direttore dell’Accademia Napoletana del Disegno. A partire dagli anni ottanta opera con forme più luminose e spazi più ampi: come testimonia l’affresco del 1781 Apoteosi di Ferdinando IV e Maria Carolina, sul soffitto del Gran Salone del Palazzo dei Regi Studi, oggi sede del Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

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