Nelle mie scorribande sul territorio beneventano, a volte per lavoro a volte per curiosità, mi capita molto spesso d’imbattermi con artisti e opere poco conosciute, o conosciute solo dagli addetti ai lavori. Nella Chiesa di Campanile di Frasso Telesino e nel Monastero delle Redentoriste di Sant’Agata dei Goti ho incrociato Paolo de Majo, artista a me già noto nel territorio casertano e napoletano. Il de Majo nasce a Marcianise il 15 gennaio 1703 da Giovanni Pietro e da Ovidia Izzo e si forma alla scuola napoletana di Francesco Solimena. Bernardo De Domini nella sua Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani, stampata a Napoli dal Ricciardi nel 1742, pur non considerandolo tra i migliori allievi del maestro, lo definisce «un de’ scolari che con assiduità hanno assistito alla scuola, e benché non sia giunto al valore de’ più eccellenti, ad ogni modo si porta bene, e non gli mancano continuamente delle faccende, vedendosi molte opere esposte al pubblico». Le sue prime opere, al di là della lezione solimenesca, si caratterizzano per i reiterati recuperi secenteschi in particolare di matrice pretiana. L’influenza dei Gesuiti nella sua formazione è palese: cattolico controriformista ha una straordinaria devozione per la Vergine, alla quale dedica la Canzoncina di preghiera alla Vergine Santissima. Approfondisce le tematiche mariane nel suo rapporto epistolare con Santa Alfonso Maria de’ Liguori, vescovo di Sant’Agata dei Goti; nutre un’interessante amicizia con S. Gerardo Majella e San Francesco Saverio Maria Bianchi.

L’articolo completo su Il Sannio Quotidiano di oggi – Acquista qui la tua copia